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Come dovrebbe comportarsi il lavoratore al quale il datore di lavoro prospetti la necessità del suo licenziamento, con possibilità di rassegnare, in a

In linea generale, a meno che non vengano versate cifre consistenti, non è mai conveniente rassegnare le dimissioni, ma è preferibile essere licenziati. Infatti, nonostante le comune convinzione che il licenziamento sia più "infamante", le conseguenze tra le due ipotesi sono ben differenti. Innanzitutto sul libretto di lavoro non viene annotata la causa di cessazione del rapporto, ma solo ed esclusivamente la data di risoluzione. In secondo luogo, il licenziamento di regola determina il pagamento dell'indennità sostitutiva del preavviso, che varia secondo le qualifiche e l'anzianità.

Quel che più conta però è che il licenziamento può essere impugnato avanti il Giudice del lavoro, mentre le dimissioni, salvo casi eccezionali, no. Questo significa la possibilità di far verificare al Giudice che effettivamente sussistessero le ragioni che hanno portato al licenziamento (che in molti casi si rivelano, al vaglio della Magistratura, insussistenti). Nel caso in cui fosse esclusa la legittimità del licenziamento, al lavoratore spetterebbero 5 mensilità di retribuzione (nel caso di aziende di più di 15 dipendenti) oltre al diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro. In alternativa alla reintegrazione il dipendente può svolgere una particolare opzione (prevista dalla legge 108/90) in virtù della quale gli debbono essere versate altre 15 mensilità di retribuzione per la rinuncia al posto.

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