Il nostro ordinamento è particolarmente attento alla salute ed ai problemi che ne derivano. Infatti, l'art. 32 della Costituzione definisce la salute come diritto fondamentale dell'individuo e come interesse della collettività. Con riguardo ai rapporti di lavoro, l'art. 2110 del codice civile dispone che, in caso di malattia (oltre che di infortunio, gravidanza o puerperio), il rapporto di lavoro viene sospeso e che il datore di lavoro può licenziare il lavoratore malato solo quando sia scaduto il termine di conservazione del posto (cosiddetto termine di comporto) appositamente previsto dai contratti collettivi. In altre parole, il lavoratore non può essere licenziato per il semplice fatto di essere malato. Si capisce dunque che diventa prioritario verificare la durata del termine di comporto disciplinato dal contratto.
Di solito, il contratto distingue due ipotesi: il comporto secco, ovvero il termine di conservazione del posto nel caso di un'unica malattia di lunga durata, e il comporto per sommatoria, ovvero il termine di conservazione del posto nel caso di più malattie. Tuttavia, anche se quella appena indicata appare una normativa di garanzia a favore del lavoratore, si capisce che, scaduto il termine di comporto, il lavoratore può essere licenziato anche se effettivamente e seriamente malato. Per ovviare a questo inconveniente, spesso i contratti collettivi di lavoro introducono un altro istituto, quello della aspettativa non retribuita: per un periodo massimo indicato dal contratto, il rapporto di lavoro può proseguire, sia pur in assenza della retribuzione, anche oltre il termine di comporto. Si tratta di un istituto molto importante, tanto che alcune sentenze hanno dichiarato illegittimo il licenziamento intimato per superamento del termine di comporto, se il datore di lavoro non ha preventivamente comunicato al lavoratore la facoltà di fruire della citata aspettativa.
Pertanto, il lavoratore che sia seriamente malato e che, approssimandosi la scadenza del periodo di comporto, non può tornare al lavoro, può fruire dell'istituto di cui si è detto. Il datore di lavoro non può rifiutare l'aspettativa, a mano che dimostri la sussistenza di seri motivi impeditivi alla concessione della stessa.
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