Pubblicato da Daniele C.d.L. Scorrano
Fonte: Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali
presentata dal Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali
con delega alle Pari Opportunità, Prof.ssa Elsa Fornero, di concerto con il
Ministro dell’Economia e delle Finanze, Prof. Mario Monti, al Consiglio dei
Ministri del 23 marzo 2012 e approvata dallo stesso nella medesima seduta
Una prima area di intervento riguarda gli istituti contrattuali esistenti. L’azione mira a
preservarne gli usi virtuosi e a limitarne quelli impropri, al solo scopo di abbattere il costo del
lavoro aggirando gli obblighi previsti per i rapporti di lavoro subordinato.
L’impianto generale individua un percorso privilegiato che vede nell’apprendistato – inteso nelle sue varie formulazioni e platee – il punto di partenza verso la progressiva instaurazione di rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Pur mirando a favorire la costituzione di rapporti di lavoro stabili, la riforma intende preservare la flessibilità d’uso del lavoro necessaria a fronteggiare in modo efficiente sia le normali fluttuazioni economiche, sia i processi di riorganizzazione. A questo fine sono previsti:
-interventi puntuali che limitino l’uso improprio e distorsivo di alcuni istituti contrattuali e, quindi, la precarietà che ne deriva;
-una ridefinizione delle convenienze economiche relative dei diversi istituti contrattuali che tenga conto del rispettivo grado di flessibilità e – di conseguenza – del costo atteso a
carico del sistema assicurativo che ne deriva;
-una più equa distribuzione delle tutele, con interventi sulla flessibilità in uscita rivolti a
reprimere pratiche scorrette (ad esempio, le cosiddette dimissioni “in bianco”), a
rafforzare le tutele per licenziamenti discriminatori, ad adeguare al mutato contesto
economico la disciplina dei licenziamenti individuali, in particolare quelli per motivi
economici;
-una adeguata modulazione del regime transitorio degli istituti.
Di seguito sono illustrate le principali linee di intervento sulla disciplina delle tipologie
contrattuali e sulla regolazione del ricorso alle forme contrattuali flessibili.
Contratto a tempo determinato
I rapporti di lavoro regolati da questo istituto presentano una maggiore propensione, rispetto al contratto di lavoro a tempo indeterminato, all’attivazione di strumenti assicurativi. Coerentemente con questa caratteristica, si prevede un incremento del relativo costo contributivo (aliquota 1,4%), destinato al finanziamento dell’ASpI (vedi di seguito).
Nello spirito della direttiva europea n. 99/70/CE, il contrasto ad un’eccessiva reiterazione di rapporti a termine tra le stesse parti è perseguito tramite l’ampliamento dell’intervallo tra un contratto e l’altro a 60 giorni nel caso di un contratto di durata inferiore a 6 mesi, e a 90 giorni nel caso di un contratto di durata superiore (attualmente, 10 e 20 giorni).
Nel contempo, tenuto conto delle possibili esigenze organizzative delle imprese con riguardo al completamento delle attività per le quali il contratto a termine è stato stipulato, si prevede un prolungamento del periodo durante il quale il rapporto a termine può proseguire oltre la scadenza per soddisfare esigenze organizzative, da 20 a 30 giorni per contratti di durata inferiore ai 6 mesi e da 30 a 50 giorni per quelli di durata superiore.
Nella logica di contrastare non l’utilizzo del contratto a tempo determinato in sé, ma l’uso ripetuto e reiterato per assolvere ad esigenze a cui dovrebbe rispondere il contratto a tempo indeterminato, viene previsto che il primo contratto a termine – intendendosi per tale quello stipulato tra un certo lavoratore e una certa impresa per qualunque tipo di mansione - non debba più essere giustificato attraverso la specificazione della causale di cui all’art.1 del Dlgs 368/01, fermi restando i limiti di durata massima previsti per l’istituto. Si stabilisce, inoltre, che ai fini della determinazione del periodo massimo di 36 mesi (comprensivo di proroghe e rinnovi) previsto per la stipulazione di contratti a termine con un medesimo dipendente vengano computati anche eventuali periodi di lavoro somministrato intercorsi tra il lavoratore e il datore/utilizzatore.
Nel caso in cui il contratto a termine sia dichiarato illegittimo da un giudice, il regime continuerà ad essere basato sul doppio binario della “conversione” del predetto contratto e del riconoscimento al lavoratore di un importo risarcitorio compreso tra 2,5 e 12 mensilità retributive secondo quanto previsto dall’art. 32, comma 5, della legge n. 183/2010 (cd. Collegato lavoro), di recente dichiarato legittimo dalla sentenza n. 303/2011 della Corte costituzionale.
Sono peraltro prefigurati, in merito a tale regime, due tipi di interventi. Da un lato, per scoraggiare il contenzioso sull’argomento, si ribadisce che l’indennità di cui sopra, in quanto prevista dalla legge come “onnicomprensiva”, copre tutte le conseguenze retributive e contributive derivanti dall’illegittimità del contratto a termine. Dall’altro lato, si propone di adeguare, tenuto conto dei nuovi termini previsti per il rinnovo il periodo per l’impugnazione stragiudiziale del contratto a termine dalla cessazione dello stesso (da 60 a 120 giorni), fermo restando – allo stato - il termine per l’impugnazione giudiziale (330).
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