Svolgimento del processo
Con sentenza del 19 dicembre 2007 la Corte d'Appello di Napoli, riformando la decisione del Tribunale, ha dichiarato legittimo il licenziamento disciplinare intimato dalla Banca P. al ricorrente, inquadrato nel livello Q4 (equiparato al funzionario A2) e addetto da ultimo alla sede di Nola.
La Banca aveva contestato al lavoratore l'insussistenza dello stato di malattia e comunque la sua inidoneità a costituire effettivo impedimento alla prestazione lavorativa in relazione ai periodi di assenza indicati nella lettera di contestazione, come desumibile dalla circostanza che tutti i certificati medici erano stati rilasciati da un parente del lavoratore specialista (nutrizionista) in un ambito diverso da quello in cui rientrava la patologia denunciata (sindrome ansioso-depressiva); la reiterata violazione dell'obbligo di consentire al datore di lavoro il controllo dello stato di malattia impeditivo della prestazione lavorativa in relazione all'assenza per malattia ininterrotta dal 19/7/2004 al 6/9/2004; la pretestuosità dell'impedimento addotto il giorno 10 settembre 2004, disturbo accusato subito dopo che, a seguito di una telefonata intercorsa con la sede centrale di Napoli, gli era stato detto di recarsi presso detta sede con un mezzo pubblico onde poter rendere la prestazione lavorativa visto che la filiale di Nola era chiusa per sciopero. La Corte territoriale ha affermato, con riferimento al primo motivo di appello (con il quale la banca lamentava che il primo giudice aveva omesso di considerare che il F. aveva addotto a motivo dell'assenza al controllo domiciliare di malattia circostanze le quali, non soltanto erano intrinsecamente inidonee a costituire una valida giustificazione, ma delle quali egli non aveva neppure fornito la prova), che in conformità alla giurisprudenza della Corte di Cassazione competeva al lavoratore, assente dal servizio per malattia Rimostrare che il suo mancato reperimento al controllo medico domiciliare di legge era dovuto ad un giustificato motivo di esonero; che nel caso in cui il lavoratore adduceva a giustificazione del mancato reperimento una concomitante visita medica o prestazione sanitaria o accertamento specialistico, egli doveva altresì dimostrare l'impossibilità di effettuare tali visite in orario diverso da quello corrispondente alle fasce orarie di reperibilità; che nessuna prova era rinvenibile nei certificati medici redatti dal Dott. S. a giustificazione dei mancati reperimenti del ricorrente anzi detti certificati facevano riferimento a visite dentistiche sostenute dal F. previo appuntamento prefissato (in due casi), o per la rimozione di punti di sutura (in un caso), e per controllo post chirurgico (in un altro caso) evidenziando l'assenza di situazione di necessità tali da rendere indifferibile la presenza del lavoratore in luogo diverso dal proprio domicilio durante le fasce di reperibilità. La Corte territoriale ha inoltre osservato che quei certificati, oltre ad essere inidonei a giustificare i mancati reperimento del F. ai quattro controlli medici domiciliari, erano anche inattendibili dal punto di vista sostanziale in quanto contraddetti da molteplici circostanze deponenti nel senso dell'inesistenza delle visite medico dentistiche in esse attestate. Ha osservato, altresì, la Corte che i molteplici motivi di inattendibilità dei certificati erano stati ripresi dal Pubblico Ministero presso il Tribunale di Nola a fondamento della richiesta di rinvio a giudizio dello stesso F. e del suo dentista S. per la ritenuta falsità dei documenti. In particolare la Corte ha evidenziato che non emergeva in alcuna documentazione del Dipartimento Clinico di Odontostomatologia dell'Azienda Ospedaliera Universitaria attestante gli interventi che il F. pretendeva di avervi effettuato nelle giornate di sabato 7 e sabato 14 agosto; che nella perizia svolta in sede penale non era stato possibile accertare se il F. avesse effettivamente sostenuto l'intervento chirurgico indicato nel certificato del 7 agosto 2004 non potendosi escludere una totale "restitutio ad integrum" dei tessuti a distanza di tempo; che era stato per contro escluso con certezza che il F. fosse mai stato affetto dalla disondotiasi del terzo molare inferiore sinistro diagnosticata dal Dott. S.(curata con l'intervento chirurgico) in quanto il terzo molare inferiore di sinistra era in posizione perfetta seppure presentava l'osso consumato e la gengiva infiammata; che lo stesso S., interrogato in sede penale, inizialmente aveva dichiarato di non ricordare gli interventi di cui ai certificati e che solo successivamente dapprima aveva affermato che si trattava di una vera e propria operazione chirurgica, aveva poi affermato trattarsi di mera incisione per frenare un fatto infiammatorio.
La Corte territoriale ha quindi concluso affermando che il reiterato ingiustificato mancato reperimento del dipendente ai controlli domiciliari di malattia costituiva mancanza di gravità tale da determinare una giusta causa di licenziamento, tanto più in considerazione della qualifica di quadro direttivo di massimo livello posseduta dal ricorrente e dal suo ruolo di leader per l'attività di sviluppo commerciale nell'ambito della città di Napoli.
Quanto alla sindrome ansiosa depressiva addotta dal ricorrente a giustificazione dei 171 giorni di assenza dal servizio nei nove mesi antecedenti la contestazione, la Corte territoriale ha rilevato che il ricorrente aveva presentato una serie di certificati in cui veniva diagnosticata una sindrome ansioso depressiva e pregresso TIA; che nei certificati non era indicata alcuna forma di terapia farmacologica; che dall'esame della CTU medica svolta in sede penale a seguito della denuncia del lavoratore per lesioni personali aggravate, non era emerso se detta patologia fosse tale da giustificare le lunghe assenze del lavoratore, mancando una qualsiasi documentazione medica diversa dai certificati. La Corte, pertanto, ha affermato che, pur se sulla base dei rilievi svolti poteva ritenersi effettivamente non sussistente una patologia idonea a giustificare le assenze, incombeva al datore di lavoro, una volta che il lavoratore aveva comunicato e documentato con certificazione medica il proprio stato morboso, fornire la prova contraria cioè l'inesistenza o pretestuosità della malattia, prova che nel caso in esame non era stata raggiunta anche se le assenze del F. alle visite domiciliari aveva di fatto posto il datore di lavoro nell'impossibilità di verificare l'effettiva sussistenza di una patologia idonea a determinare l'incapacità al lavoro. Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione il lavoratore formulando due motivi che articola in sub motivi.
Si costituisce la Banca depositando controricorso con ricorso incidentale condizionato. La resistente ha depositato memorie ex art. 378 cpc.
Motivi della decisione
Il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione della legge n 604 del 1966, art. 1 e 5 ,in relazione all'art. 116 c.p.c. e art. 2697 c.c., nonché l'art. 7 della legge n 300 del 1970 anche in riferimento alla contrattazione collettiva, ed omessa insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360 n. 3 e 5 cpc).
1) Richiama tutta la documentazione medica e le CTU (in sede e davanti al Tribunale di Napoli per il demansionamento denunciato) dalle quali risultava che mai nessun specialista aveva escluso lo stato di malattia; che la Banca nulla aveva provato sull'inesistenza della malattia e che anzi aveva omesso qualsiasi controllo sull'effettività della malattia e sul carattere impeditivo alla prestazione lavorativa dal 22/12/2003 al 10/9/2004.
Deduce che la Banca non gli aveva mai contestato la falsità dei certificati medici rilasciati dal dott. S.(contestata solo davanti al Tribunale di Nola) ed infatti la denuncia alla Procura della Repubblica era successiva al licenziamento. Osserva che la Corte territoriale non aveva valutato i seguenti elementi: a) dalla relazione sulla grafia dei certificati era risultato confermato che erano stati compilati dal Dott. S., il quale aveva confermato l'attività svolta, b) il teste D. aveva confermato che il sabato gli ambulatori presso il Dipartimento Universitario restavano aperti e che la carta a lui intestata, sulla quale il S. aveva rilasciato i certificati, era rimasta nel Dipartimento a lungo anche dopo il suo pensionamento; c) la relazione peritale aveva chiarito che non risultavano cicatrici relative all'intervento in quanto "sui tessuti gengivali non si formano cicatrici" e che "il terzo morale pur non presentando la disodontiasi è in esclusione cioè fuori dalla gengiva senza sostegno", d) la lettera del 20 febbraio 2007 del Dipartimento Clinico di Odontostomatologia chiariva la possibilità di utilizzo della struttura nella giornata del sabato da parte dei medici dipendenti, e) il medico fiscale aveva confermato la mancanza di cassette postali all'esterno del palazzo del F., f) dal libretto sanitario risultava che E. F. era il medico di base del ricorrente e come tale abilitato a compilare i certificati.
2) Eccepisce la sproporzione tra il fatto contestato e la sanzione disciplinare del licenziamento tenuto conto anche del contesto di demansionamento a cui era stato sottoposto.
3) Rileva, altresì che la sentenza è viziata da omessa o insufficiente motivazione. Osserva che lo stato di malattia era stato ampiamente documentato in assenza di richiesta di controlli da parte della Banca, documentazione di cui la Corte non aveva tenuto conto omettendo la motivazione o fornendo una motivazione insufficiente.
Esclude qualsiasi intenzione di sottrarsi alle visite mediche rilevando che non aveva avuto notizie delle visite domiciliari, che infatti il medico non aveva lasciato gli avvisi, che le cassette postali erano collocate all'interno del palazzo, che le assenze alle visite domiciliari si riferivano all'assenza dal lavoro per trenta giorni e dunque la proporzionalità della sanzione doveva riferirsi solo a detto periodo, circostanze sulle quali la Corte aveva omesso qualsiasi motivazione. Rileva che la Corte nulla aveva motivato circa la malattia denunciata nel giorno dello sciopero, in ordine alla mancata contestazione della falsità dei certificati medici, in relazione alle prove fornite circa la veridicità dei certificati nonché in ordine al contesto lavorativo di accertata dequalificazione. Le censure sono infondate.
Preliminarmente, il Collegio rileva che ai sensi dell'art. 366 - bis c.p.c., (applicabile nella specie, ai sensi del D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 27, essendo impugnata una sentenza depositata il 19/12/07). nei casi previsti dall'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), l'illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena d'inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto. Nella specie il ricorrente ha formulato 11 quesiti, posti a conclusione dei motivi e dei vari sub motivi in cui si articola ognuno dei due motivi, senza alcun esplicito riferimento al singolo submotivo che concettualmente conclude (quale sintesi od interpello alla Corte sull'esattezza della soluzione offerta rispetto a quella adottata dal giudice a quo) ed in assenza di una particolare evidenza del rapporto di pertinenza con la violazione di legge a cui accede il quesito stesso. I quesiti, inoltre, presentano profili riferibili, al contempo, anche al difetto di motivazione, in violazione della regola della chiarezza posta dall'art. 366 bis cpc, affidando alla Corte di Cassazione il compito di enucleare, dalla mescolanza dei motivi, la parte concernente il vizio di motivazione, che invece deve avere una sua autonoma collocazione (Cass. ord. n 9470/2008). I quesiti, inoltre, appaiono inidonei in quanto, più che sottoporre a questa Corte questioni di diritto controverse, contengono esposizione di fatti sui quali secondo il ricorrente la Corte territoriale non avrebbe dato sufficiente motivazione o avrebbe fornito una motivazione erronea o non avrebbe adeguatamente valutato ,senza, invece, indicare le norme che si ritengono lese ovvero erroneamente interpretate in relazione a specifici punti della sentenza.
Né può rilevare che al suddetto onere probatorio il ricorrente si sia riferito nel corso dei motivi di impugnazione, atteso che la funzione propria di un quesito di diritto, a pena di inammissibilità del motivo proposto, è di far comprendere alla Corte di legittimità dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l'errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare (cfr. Cass. sez. un., n. 28054 del 2008; n. 26020 del 2008; n. 18759 del 2008; n. 3519 del 2008). Deve, altresì, rilevarsi che "In tema di formulazione dei motivi del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti pubblicati dopo l'entrata in vigore del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 ed impugnati per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, poiché secondo l'art. 366 bis cod. proc. civ. introdotto dalla riforma, nel caso previsto dall'art. 360 n. 5 cod. proc. civ., l'illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità" (cfr Cass. SSUU n 20603/2007).
Il ricorso appare, inoltre, inammissibile con riferimento a quella parte in cui il ricorrente richiama documentazione medica di vario tipo, atti giudiziari, sentenze intercorse tra le parti, consulenze tecniche d'ufficio ed altra varia documentazione (dei quali non vi è alcun richiamo nella sentenza impugnata), ma omette di indicarne il momento processuale nel quale sono entrati nel giudizio e la loro attuale collocazione.
Il motivo di doglianza, pertanto, sotto tale profilo non risponde al dettato di cui all'art. 366 n. 3 e 6 cpc che impone un onere di specificità e compiutezza espositiva dei fatti rilevanti e di indicazione dei documenti o atti processuali sui quali il ricorso si fonda (cfr Cass n 4220/2012: "In tema di ricorso per cassazione, ai fini del rituale adempimento dell'onere, imposto al ricorrente dall'art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ., di indicare specificamente nel ricorso anche gli atti processuali su cui si fonda e di trascriverli nella loro completezza con riferimento alle parti oggetto di doglianza, è necessario che, in ossequio al principio di autosufficienza di detto atto processuale, si provveda anche alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l'esame").
I motivi di censura sono, comunque, infondati. La sentenza impugnata appare adeguatamente motivata, priva di difetti logici o contraddizioni, oltre che immune da errori di diritto, circa l'affermata sussistenza di una giusta causa di licenziamento. La Corte territoriale ha affermato, con riferimento all'assenza del lavoratore in occasione di ben quattro controlli domiciliari effettuati dal medico addetto al servizio ispettivo in data venerdì 30/7/04 alle h 17,50; sabato 7/8/04 alle h 10,21; sabato 14/8/04 alle h 11,58 e venerdì 20/8/04 alle h 18,10, che i certificati medici depositati dal ricorrente per giustificare la sua assenza ai controlli sanitari non erano idonei a provare quella situazione di necessità per il lavoratore che rendeva indifferibile la sua presenza in luogo diverso dal domicilio durante le fasce di reperibilità.
Sul punto la Corte territoriale si è attenuta ai principi espressi da questa Corte secondo la quale "AI sensi dell'art. 5, quattordicesimo comma, legge n. 638 del 1983, il giustificato motivo di esonero del lavoratore in stato di malattia dall'obbligo di reperibilità a visita domiciliare di controllo non ricorre solo nelle ipotesi di forza maggiore, ma corrisponde ad ogni fatto che, alla stregua del giudizio medio e della comune esperienza, può rendere plausibile l'allontanamento del lavoratore dal proprio domicilio, senza potersi peraltro ravvisare in qualsiasi motivo di convenienza od opportunità, dovendo pur sempre consistere in un'improvvisa e cogente situazione di necessità che renda indifferibile la presenza del lavoratore in luogo diverso dal proprio domicilio durante le fasce orarie di reperibilità". (Cass n 14735/2004) "Il lavoratore assente dal lavoro per malattia, ove deduca come giustificato motivo della non reperibilità alla visita domiciliare di controllo di avere nell'occasione effettuato una visita presso il medico di fiducia, deve provare che la causa del suo allontanamento dal domicilio durante le previste fasce orarie, pur senza necessariamente integrare una causa di forza maggiore, costituisca, al fine della tutela della salute, una necessità determinata da situazioni comportanti adempimenti non effettuabili in ore diverse da quelle di reperibilità"(Cass 4247/04, 15446/04, 21621/2010).
La Corte territoriale ha escluso la sussistenza di situazioni che giustificassero l'allontanamento del lavoratore dal suo domicilio durante le fasce di reperibilità. Tale accertamento, coinvolgendo un apprezzamento di fatto, è riservato al giudice del merito e, quindi, è insindacabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici. (Cass n. 4247/2004). Nella specie la Corte d'Appello ha esaminato i certificati medici prodotti dal ricorrente per giustificare la sua assenza durante le ore di reperibilità per concludere che non emergeva affatto l'impossibilità per il F. di sottoporsi a dette visite mediche in orario diverso da quello concomitante con le fasce orarie di reperibilità, essendo state effettuate previo appuntamento prefissato (in due casi), o per la rimozione di punti di sutura (in un caso), e per controllo post chirurgico (in un altro caso). Il F., pertanto, con il suo comportamento ha violato reiteratamente l'obbligo di consentire al datore di lavoro il controllo sul suo stato di salute sottraendosi per ben quattro volte, dal 30 luglio al 20 agosto 2004, al controllo medico domiciliare, non ponendo in essere neppure particolari accortezze per rendere possibile il controllo in violazione dell'obbligo di collaborazione discendente dal rapporto lavorativo in quanto le cassette postali erano situate all'interno dell'edificio.
Infine va rilevato che pur non potendosi tenere conto dei numerosi elementi indiziari esaminati dalla Corte d'Appello circa la veridicità dei certificati utilizzati per giustificare le assenze alle visite domiciliari in quanto non oggetto della lettera di contestazione degli addebiti, non sono censurabili le conclusioni cui è pervenuta la Corte d'Appello circa la gravità del comportamento del lavoratore tale da integrare una lesione irreversibile dell'elemento fiduciario sia per la pluralità degli episodi nell'ambito di una assenza prolungatissima, sia avuto riguardo alla posizione del F. nell'ambito dell'organizzazione aziendale di quadro direttivo di elevato livello. Il ricorso incidentale condizionato, avente ad oggetto il capo della sentenza d'appello che ha ritenuto non raggiunta la prova dell'inesistenza ovvero del carattere non effettivamente impeditivo della prestazione lavorativa della sindrome ansioso depressiva adottata dal ricorrente a sostegno dei 171 giorni di assenza dal servizio nei nove mesi precedenti il licenziamento, resta assorbito dal rigetto del ricorso principale.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza. Dette spese vengono liquidate in applicazione del nuovo sistema di liquidazione dei compensi agli avvocati di cui al D.M. 20 luglio 2012, n. 140 che ha determinato i parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni vigilate dal Ministero della giustizia, ai sensi dell'art. 9 del Decreto legge 24 gennaio 2012 n. 1, convertito, con modificazioni, in legge 24 marzo 2012, n. 27.
P.Q.M.
Riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale assorbito l'incidentale. Condanna il ricorrente a pagare alla resistente € 40,00 per esborsi ed € 3000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge.
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