Si richiama l'attenzione sulle seguenti decisioni della Corte di Casazionine in materia di lavoro e legislazione sociale per la specificitaì' delle questioni trattate
Sentenza del 18 gennaio 2013,n.2723 -Sequestro cc per dipendente assenteista
Un dipendente ministeriale indagato per il reato di cui all'art. 640, comma secondo, del codice penale, perché assentatosi dal posto di lavoro per presunte incombenze legate all'incarico di assessore svolto presso un ente comunale, conseguendo così l'illecito profitto della retribuzione.
Il Gip ha disposto il provvedimento di sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, sulle somme di denaro giacenti sul conto corrente a lui intestato nonché sui crediti derivanti dal rapporto di lavoro con il Ministero.
Il Provvedimento è stato confermato dal Tribunale del Riesame, previo rigetto della relativa istanza di dissequestro.
Nulla da fare per il dipendente presunto "assenteista" ingiustificato :la Corte di Casassazione infatti, il GIP prima e il Tribunale poi hanno valutato adeguatamente la condotta del ricorrente, richiamando, in particolare, i dati oggettivi dell'indebito utilizzo di moduli fotocopiati, artificiosamente riempiti dallo stesso indagato, e la conseguente erogazione della retribuzione per un numero di ore superiore a quello consentito per legge.
Sentenza n. 895 del 16 gennaio 2013 -Licenziamento per giusta causa ed incarico sindacale
E' stato ritenuto legittimo il licenziamento di un lavoratore che aveva anche incarichi sindacali, qualora sia comprovata l'ipotesi di giusta causa quale motivazione del licenziamento stesso.
La Suprema corte ha evidenziato che eventuali accordi aziendali che prevedano la non risolubilità dei rapporti con lavoratori che ricoprono incarichi sindacali non sono da ritenere validi qualora, alla base del licenziamento, vi sia una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto (art. 2119 c.c.).
Sentenza n. 212 del 8 gennaio 2013Patto di non concorrenza e limitazioni del lavoratore
Risulta affermata o la nullità del patto di non concorrenza nel caso in cui la risoluzione del patto del patto stesso è rimessa unicamente al datore di lavoro.
Secondo la Suprema Corte non può essere "attribuito al datore di lavoro il potere di incidere unilateralmente sulla durata temporale del vincolo, cos'ha vanificando la previsione della fissazione di un termine certo è, inoltre, non può prevedersi che l'attribuzione patrimoniale pattuita possa essere caducata dalla volontà del datore di lavoro; "la grave ed eccezionale limitazione alla liberà di impiego delle energie lavorative risulta compatibile soltanto con un vincolo stabile, che si presume accettato dal lavoratore all'esito di una valutazione della sua convenienza, sulla quale fonda determinate programmazioni della sua attività dopo la cessazione del rapporto".
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