Ecco una sintesi sul Decreto 22 dicembre 2012 del Ministero del Lavoro in materia di congedo - obbligatorio e facoltativo - per il lavoratore padre.
L'art. 4, commi 24 e 25, della legge n. 92/2012 fissa due principi, peraltro sperimentali, attesa la loro valenza limitata, al momento, al 31 dicembre 2015: con il primo si stabilisce che il padre lavoratore dipendente (qualunque sia la tipologia contrattuale di riferimento) ha “l’obbligo” di astenersi dal lavoro per un giorno (in soluzione unica e non ad ore) entro i primi cinque mesi dalla nascita del bambino. Sempre nello stesso periodo, il genitore può astenersi dal lavoro per altri due giorni (anche questi in soluzione unica secondo l’indirizzo contenuto nel DM 22 dicembre 2012), anche continuativi, previo accordo con la madre ed in sua sostituzione in relazione al periodo di astensione obbligatoria ad essa spettante, con un’indennità a carico dell’INPS pari al 100% della retribuzione che sostituisce nelle due giornate, quella dovuta alla madre. Lo stretto dettato letterale parla di “nascita del bambino” ma il Decreto Ministeriale attuativo comprende anche le altre ipotesi assimilate, ugualmente tutelate dalla legge come l’affido e l’adozione, secondo un indirizzo già espresso dalla Corte Costituzionale, particolarmente attenta a queste problematiche, in altre pronunce.
Il datore di lavoro deve essere informato per iscritto dei giorni di assenza con un preavviso di almeno quindici giorni e, fatti salvi i c.d. “casi di forza maggiore”, non sembra che possa rinvenirsi in capo al datore un potere di negazione, in quanto la cura del bambino e la condivisione dei compiti in un momento molto delicato della vita del bambino hanno una importanza primaria. Il secondo principio riguarda la possibilità di concedere alla madre lavoratrice, al termine del periodo di congedo per maternità, per gli undici mesi successivi ed in alternativa al congedo parentale previsto dall’art. 32, comma 1, lettera a) del D.L.vo n. 151/2001 (si tratta del periodo continuativo o frazionato, non superiore a sei mesi), la corresponsione di voucher (c’è il riferimento all’art. 72 del D.L.vo n. 276/2003), da richiedere al datore di lavoro per l’acquisto di servizi di “baby-sitting” o, in alternativa, per far fronte agli oneri della rete pubblica dei servizi per l’infanzia o dei servizi privati accreditati. Il Decreto Ministeriale, finanziato con 78 milioni di euro per ogni anno compreso tra il 2013 ed il 2015 prevede una duplice ipotesi legata al pagamento diretto dei voucher per la baby-sitter pari a 300 euro netti per sei mesi (in alternativa al congedo parentale, con accredito veloce da parte dell’Istituto, attraverso i propri sistemi telematici), mentre nel caso della fruizione di servizi sociali (es. nido) sarà l’INPS a provvedere direttamente al pagamento della quota prevista alla struttura interessata. A fronte della scarsità delle risorse (“i contributi economici saranno erogati fino a concorrenza”), dovrà necessariamente essere effettuata una graduatoria nazionale tra tutte le donne richiedenti che terrà conto dell’indicatore Isee: a parità, verrà considerato come discriminante l’ordine di presentazione delle istanze. Non potranno rientrare nel beneficio le donne che già sono esentate dal pagamento delle rette per gli asili nido per motivi reddituali e quelle che godono del contributo previsto dal Fondo per le politiche attive, mentre per le lavoratrici a tempo parziale il contributo sarà “pro – quota e per quelle iscritte alla gestione separata (art. 2, comma 26, della legge n. 335/1995), perché, ad esempio, sono collaboratrici a progetto, fino ad un massimo di tre mesi.
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