Dal Collegato Lavoro (L. 183/2010) e fino a al Jobs Act (L. 190/2014) abbiamo assistito a una serie di interventi normativi che hanno notevolmente modificato l'operatività della risoluzione stragiudiziale dei contenziosi in materia lavoro.
Partiamo, infatti, dal Collegato Lavoro che delinea la fine dell'obbligatorietà del tentativo di conciliazione ex art. 409 cpc, reintrodotta, poi, dalla Riforma Fornero (L. 92/2012) in relazione ai licenziamenti per GMO operati da datori di lavoro rientranti nel regime della tutela reale.
Giungiamo al Jobs Act che, con l'entrata in vigore delle disposizioni ex D.Lgs 23/2015 e D.Lgs 81/2015, modifica nuovamente il quadro operativo in materia.
L'entrata in vigore delle c.d. “Tutele Crescenti” (D.Lgs 23/2015) determina, dal 07/03/2015, la soppressione degli obblighi conciliativi ex L. 92/2012 sui licenziamenti per GMO effettuati dalla suddetta data mentre l'obbligatorietà resta pienamente vigente per tutti i rapporti di lavoro instaurati prima del 7 marzo 2015; in concomitanza viene, poi, introdotto lo strumento dell' ”Offerta conciliativa”, un nuovo rito di conciliazione stragiudiziale basato sulla “risarcibilità” del lavoratore licenziato in relazione a una somma di denaro predeterminata in base all'anzianità di servizio.
Di notevole importanza si identificano anche le disposizioni in materia conciliativa ex D.Lgs 81/2015 (Codice dei Contratti) operate in relazione alla stabilizzazione dei collaboratori e di modifica delle mansioni del lavoratore dipendente.
La procedura di stabilizzazione di collaborazioni si configura come una vera e propria “sanatoria” per i committenti finalizzata a stabilizzare i rapporti parasubordinati in rapporti di lavoro stabili e obbligatoriamente formalizzata per mezzo di uno specifico accordo conciliativo a carattere novativo da sottoscriversi in una delle c.d. sedi protette.
L'obbligatorietà di un accordo conciliativo riveste condizione essenziale di legittimità anche nella prevedibilità del “demansionamento” del lavoratore ex D.Lgs 81/2015. In questo caso l'accordo si configura come strumento di tutela che la variazione avvenga con consenso congiunto e che comunque sia mossa da motivazioni che tutelino il lavoratore alla conservazione dell’occupazione, all'acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita.
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