Il caso riguarda il ricorso in Cassazione alla sentenza della Corte d’Appello di Napoli del 23/01/2019, che aveva sancito l’annullamento del licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato ad un lavoratore dipendente. La società veniva condannata sia alla reintegra del dipendente, che al pagamento della retribuzione globale di fatto nella massima misura di 12 mensilità, oltre che dei contributi accessori ex art. 18, comma 4, L. 300/70.
In tale sentenza, la Corte d’Appello aveva sostenuto che il recesso fosse viziato per insussistenza del giustificato motivo oggettivo, in quanto i motivi non erano da ricondursi all’inidoneità del dipendente, quanto al calo dei volumi di corrispondenza legata alla meccanizzazione del processo; inoltre l’azienda non aveva cercato di ricollocare il dipendente in altra postazione lavorativa, disattendendo all’obbligo di repêchage.
La società ricorreva in Corte di Cassazione, in quanto sosteneva che la Corte d’Appello non avendo provato l’impossibilità di ricollocare il lavoratore, non avrebbe potuto affermare che il giustificato motivo oggettivo fosse insussistente, né che fosse stato violato l’obbligo di ricollocazione del dipendente. Sulla base di tali presupposti, applicando la tutela meramente obbligatoria ex art. 18, c. 5, L. 300/70, avrebbe dovuto dichiarare risolto il rapporto e corrispondere un indennizzo.
La Corte di Cassazione rigetta il ricorso, ritenendo infondato il motivo di impugnazione, in quanto sostenuto dalla tesi non condivisa dalla stessa Suprema Corte, secondo cui la violazione dell’obbligo di repêchage non comporta l’applicazione della tutela reintegratoria attenuata.
Secondo art. 18, c. 7, L. 300/70, nel caso di ipotesi di difetto di giustificazione del licenziamento intimato in cui venga accertata la manifesta insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il giudice deve applicare la disciplina al comma 4 del predetto articolo, comportando la reintegra, oltre che l’indennizzo.
La Suprema Corte afferma che, il requisito della ‘manifesta insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento’ riguarda entrambi i presupposti di legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo: da un lato le ragioni legate all’attività produttiva, dall’altro l’impossibilità di adempiere all’obbligo di repêchage.
La Corte di Cassazione, sezione Lavoro, con la sentenza Nr. 29102 dell’11 novembre 2019, afferma, quindi, che la Corte d’Appello di Napoli aveva correttamente rilevato che si trattasse di un licenziamento per ragioni economiche (diversamente da quanto precedentemente affermato nella lettera di recesso), a cui si affianca la violazione dell’obbligo di repêchage, in quanto non ne è stata provata l’impossibilità. Sulla base di questi presupposti viene rigettato il ricorso.
La società rimane condannata alla reintegra del dipendente e al pagamento dell’indennità risarcitoria corrispondente a 12 mensilità commisurate all’ultima retribuzione globale di fatto, oltre che al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.
Autore: Dott.ssa Ambra Salgarella, HR Specialist
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